Nella Buca
Lunedì ho iniziato a lavorare al progetto per la sistemazione di un giardino già di per se affascinante, ma che necessita di essere rinvigorito con un po’ di nuova energia, nuove piante, qualche bordura mista e nuove siepi di bosso. Il giardino non è il tema di questo articolo, ma avrò modo di parlarne nel prossimo blog perché è un luogo che merita di essere conosciuto meglio, così come lo merita la sua spumeggiante proprietaria.
Dopo qualche ora di lavoro all’aperto, ormai intrisi di umidità, decidiamo di concederci una pausa adeguata alla giornata nebbiosa e andare a colazione in uno dei templi della gastronomia locale.
Quando penso a “La Buca” di Zibello immediatamente penso alla Bassa Parmense. Questo leggendario luogo di sosta si trova a pochi metri dal letto del fiume Po, appena al di qua dell’argine. E’ uno di quei ristoranti dove il legame con il territorio, in cui sorge da 140 anni, si percepisce più saldo che mai.
L’atmosfera è vera, non ha quel effetto “tipico” raffazzonato attraverso l’uso di elementi finto rustici in cui ci si imbatte spesso, è schietta, senza orpelli, ma non per questo priva di grazia.
Non è commovente quella tendina ricamata con il nome del ristorante? A me porta subito alla mente le vecchie case della zona dove tipicamente era ricamata con le iniziali o lo stemma dei proprietari.
Il successo di questa locanda è merito di quattro generazioni di “rezdore” che se la sono tramandata sempre rigorosamente in linea femminile. Prima di occuparsi di questa locanda le loro antenate erano cuciniere a casa Pallavicino, i signori di Zibello.
Con il termine “rezdora”, in parmigiano, ci si riferisce alla donna di casa vecchio stampo che cucina, fa la pasta in casa e magari alleva qualche gallina coltivando pure un orto, una donna dotata di una certa autorevolezza. “Razdora” deriva da “reggitrice”: “colei che regge la casa”.
La rezdora del luogo è Leonarda detta Miriam, una di quelle donne emiliane di corporatura morbida e la pelle liscia e bianchissima che da sempre sospetto essere il risultato di anni ed anni di smodato uso del burro in cucina. La signora dice: ” Olio non ne uso. Qui di olio non ce n’era, c’erano le vacche e quindi si faceva il burro! Quello si usava per cucinare”.
Miriam è una cuoca della tradizione, attenta alla qualità dei prodotti portati sulla tavola, ma anche alla loro storia ed è sempre felice di condividerla con i suoi ospiti.
Il denominatore comune della cucina di questa zona è il maiale nero, allevato da secoli in queste terre, ne caratterizza quasi tutti i piatti. Oltre a citare l’ internazionalmente conosciuto e acclamato culatello che proprio nelle cantine di questa casa è stato inventato, credo sia interessante scoprire alcuni piatti che pur apparendo avulsi dal contesto sono tipici di qui. Una delle specialità della casa ad esempio è il pasticcio di maccheroni in pasta dolce, una specie di sformato di maccheroni (amalgamati ad un’infinità di altri ingredienti) avvolto da una crosta di pastafrolla. Questo pasticcio è arrivato nella bassa Parmense ai tempi della dominazione spagnola e lo troviamo infatti, con le logiche variazioni, tra i piatti tipici di altri luoghi in cui gli spagnoli ebbero dominazioni: in Sicilia e a Napoli.
I Pallavicino, nel Parmense, governavano un piccolo stato il cui territorio andava da Busseto a Cortemaggiore che ne era la capitale (costruita su modello di una città ideale). La corte era piuttosto piccola e aveva poco dello sfarzo delle vicine corti Estensi di Ferrara, o di quella milanese o modenese. Il palazzo di Zibello è un edificio decisamente modesto, più pratico che raffinato. Giuseppe Verdi era di casa qui ed esistono numerosi aneddoti sul suo caratteraccio legati questo palazzo.
I Pallavicino di Zibello non potevano permettersi uno chef alla moda e quando organizzavano pranzi importanti se lo facevano prestare da una corte amica.
La “Mariola con zabaione all’aceto balsamico”, specialità de La Buca, è una delle ricette arrivate nella Bassa proprio attraverso uno di questi prestiti: venne portata ad un pranzo dal cuoco francese degli Este di Ferrara. Si tratta di una sorta di salame non stagionato che viene cotto e guarnito da una salsa di zabaione contenente aceto balsamico. Non ho fotografato i piatti perché non mi piace farlo. Sono vegetariano e non so cucinare nemmeno un riso al vapore per cui non mi addentro nei dettagli, ma il sapore vi assicuro è delizioso.
Il dolce della tradizione è il Cacio Bavarese, detto anche Budino del Vescovo: una specie di bomba di burro e uova dalla particolarissima consistenza farinosa che ha la caratteristica di essere preparato con i tuorli d’uovo sodi (in uno stampo per 4 persone ci vanno 14 tuorli per intenderci…). Tra l’altro è da sempre il dolce tipico di casa mia e pare il preferito dal Maestro Verdi che viveva a pochi chilometri da qui.
Sono stati affezionati clienti del ristorante i Guareschi, molti celebri direttori di opere Verdiane, cantanti lirici e addirittura la principessa Margaret d’Inghilterra che pare adorasse il culatello.
Una visita alle cantine è quindi d’obbligo.
Cosí come una passeggiata lungo il fiume prima di tornare al lavoro.
Quando qualcuno mi chiede quale sia il periodo migliore per visitare la Bassa Parmense, consiglio sempre il mese di novembre. Il momento che precede il riposo invernale è quello in cui l’essenza di questa umida terra, in cui il Po (oggi purtroppo ai minimi storici per portata d’acqua) è l’attore principale, si esprime al meglio. L’estate è ferocemente calda e l’inverno poco attraente, mentre l’autunno è stagione grassa che porta con se i frutti dell’estate e si prepara a conservarli, ma soprattutto è il momento in cui ha luogo il rito di aggregazione per eccellenza di queste terre: l’ uccisione del maiale.